I love Bologna- Grazia Verasani per VEMag
Dopo Massimo Zamboni e Mariangela Gualtieri Viaemiliamagazine ospita un nuovo inedito. Questa volta pubblichiamo un racconto breve che la scrittrice bolognese Grazia Verasani regala ai nostri lettori. Il suo ultimo romanzo si chiama ‘Senza ragione apparente’ (Feltrinelli)
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Amo Bologna. La amo, imprescindibilmente. La vivo e la scrivo. Ci scrivo e ci vivo. E amandola, spesso la critico. Ma non per nostalgia di annate passate, che pure c’è, ma per la stasi che a volte la impigrisce, la immobilizza, e una nomea di bonomia che ha fatto il suo tempo. Eh sì, Bologna, sempre a un passo dall’omologarsi all’andazzo generale e tenace nel fuggirlo, schivarlo per un pelo…
No, questo non è un racconto o, almeno, non è fiction. E’ la storia di un sabato pomeriggio nel centro cittadino, tra bancarelle, luminarie natalizie, addobbi, torri illuminate. Il flusso della gente che stringe nelle mani pacchetti, che cerca cioccolato e tortellini di marca, o che, di là dalle mura, nelle nebbiose periferie, fatica a comprare un panettone cooperativo.
Cammino. Penso. A Bologna con le sue torri e torrette, le sue famose case rosse, i suoi portici protettivi e soffocanti che nascondono gli orizzonti aperti del cielo. Strumenti di difesa/offesa, le Torri, simboli di potere delle famiglie più ricche. Qualcuno dice che ne furono erette quasi 170. Penso che solo qui puoi sentire il rumore dei tuoi passi, la sera… Penso all’introspezione dei vicoli stretti, dei portici affollati eppure claustrofobici. Penso che anticamente le strade si chiamavano “rughe”. Passo davanti alla gotica Basilica, iniziata alla fine del Trecento e mai terminata; mi allungo dentro il Portico del Pavaglione, che deve il suo nome al mercato dei bachi da seta. Penso che Bologna è la città che ha più portici al mondo, che nel medioevo erano di legno, e che lì avvenivano assalti sanguinari.
Guardo l’orologio e mi affretto verso la stazione. Sono in attesa di un’amica che arriva da lontano. Sul ponte di via Matteotti mi soffermo a osservare il sole che cala sui binari, nel cielo indaco e rosato che si mescola al grigio ferro dei treni e dei piccioni. Un tuffo al cuore sempre, qui, in questo posto, nella famosa “ora blu” della città che amo. Ma sì, ecco, appena Agnès scenderà del treno, la porterò a prendere un aperitivo al Mercato delle Erbe: un tempo si chiamava “degli ortaggi” e accoglieva i contadini delle campagne vicine. Penso che berremo uno spritz per riscaldarci dal freddo, fumando sui gradini, prima di scambiarci i regali.