‘Giano’ è il disco d’esordio di Fabio Testoni, chitarrista e fondatore degli Skiantos. L’intervista

Fabio Testoni, nome d’arte Dandy Bestia, è stato il chitarrista  degli Skiantos, ha suonato su palchi coperti di ortaggi, ha ‘inventato’, con Freak Antoni, un genere e adesso, dopo l’avventura della band, esordisce con un album solista, ‘Giano’ (Alabianca), Alex Britti tra gli ospiti, che spiazza.

Il disco, infatti, è una raccolta di ballate nella tradizione folk rock e blues, intime e delicate, così lontane dall’isteria ai confini del punk degli Skiantos.

Testoni, chi è ‘Giano’?

Sono io, naturalmente, un essere che vive due vite contemporaneamente, che passa dalla riflessione alla follia, dalle atmosfere pacifiche del folk, dalla musica da camera, persino, alle chitarre distorte. Se è vero che nella stessa persona possono convivere diverse personalità, questo disco lo dimostra. Con una raccolta di canzoni che sono una sorta di diario rock di una esistenza

Dopo  gli Skiantos, cosa ti ha fatto desiderare un album solista?

‘La voglia di dare luce, di portare in superfice una esistenza che ha accumulato, nel corso degli anni, così tanti incontri, esperienze, molte anche tragiche, che nella follia demenziale degli Skiantos non trovavano naturalmente spazio. Lì eravamo immersi nel nostro habitat rumorista , dove solo l’irridere ci avrebbe salvato. In ‘Giano’ non sarà una risata a seppellire il mondo, ma un tuffo nel versante più malinconico della vita.

Un disco poetico, persino

Certo, perchè anche di poesia si è alimentato il mio universo. Una canzone, in particolare, è dedicata a Roberto Roversi, il grande poeta che faceva parte dell’ambiente creativo della città dove vivo, Bologna e che è stato non solo l’autore di alcune tra le più belle canzoni di Lucio Dalla, ma anche fonte di ispirazione per tutta le realtà del rock e della canzone d’autore bolognese

Poetico, ‘Giano’, ma senza rinunciare alle provocazioni che arrivano da un passato che è ancora irrequieto

E’ quello che resta del punk, in canzoni, ad esempio, come ‘Cappuccetto rosso’ non soltanto come forma musicale o ostentazione di una ribellione trascorsa, ma come irrinunciabile linguaggio di disgregazione delle certezze. In questo un po’ di demenziale c’è ancora

 

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